di Vincenzo Pollastrini
Parte Seconda
“E così, sguainata la spada che teneva alla cintura, divise il mantello a metà, ne donò una parte al povero, e si rivestì dell’altra” (Gregorio di Tours, VI secolo d.C., Jacopo da Varazze, XIII secolo d.C.)
Buongiorno,
sono il figlio di un soldato dell’esercito romano.
Per questo mio padre mi chiamò Martinus, dedicato a Marte, il dio della guerra.
Rimase presto deluso, divenni cristiano.
Un cristiano esemplare, a quanto dicono i miei biografi.
Sono trascorsi ormai oltre milleseicento anni dalla mia morte.
Eppure, dell’episodio del mantello tagliato a metà, e donato al povero, si parla ancora.
Ne trovate traccia nel dipinto di Simone Martini nella chiesa inferiore di San Francesco ad Assisi, o in una pregevole scultura del duomo di Lucca.
Alcuni di voi si commuovono alla vista di queste opere.
Come non commuoversi allora, osservando il fulgido esempio di carità cristiana offerto dal vostro Ministero dello Sviluppo Economico?
Pensate, nella Circolare n.3723/C del 15 aprile 2020, in piena pandemia, si preoccupa di rendere noto, ad imprenditori, artigiani e commercianti, che, in caso di chiusura forzata delle loro attività, per effetto del DPCM 22 marzo 2020, nessuna comunicazione deve essere effettuata al registro delle imprese (REA, repertorio economico e amministrativo).
Così si esprime il Ministero: “non appare assolutamente ragionevole, né fondato chiedere un adempimento formale nei confronti del REA”.
Da ringraziare, sentitamente.
Ma veniamo al resto.
Aggiunge infatti lo stesso Ministero: se la sospensione non è stata imposta, ma volontaria (“volontariamente”, cito testualmente), in tale circostanza “non può prescindersi dalla necessità della denunzia REA”. Oltre a coloro che logisticamente non erano in grado di assicurare le nuove condizioni di sicurezza, pensiamo a chi per effetto del blocco si è trovato privo di scorte, o ha deciso di chiudere per assenza di clienti.
Il Ministero si pregia di fornire questa indicazione, in risposta a chi (con diligente solerzia) domandava se per usufruire dei benefici del Decreto Cura Italia fosse necessario comunicare l’avvenuta sospensione dell’attività.
Ebbene sì!
A meno che la vostra attività non sia stata sospesa per legge, se avete deciso “volontariamente” di fermarvi, dovete comunicarlo al REA.
E’ un po’ come se, alla vista del povero, spoglio e tremante di freddo, prima di donargli metà del mio mantello, gli avessi chiesto di denunciare a qualche ufficio della burocrazia imperiale romana il suo stato di povertà.
Ma il Ministero, emulo della mia santità, e tenuto conto della gravità della situazione, concede un “periodo di grazia” (cito testualmente).
In breve, la denuncia al REA può essere effettuata anche dal 16 maggio, al momento della riapertura: comunicando al REA il riavvio, vi è concesso denunciare retroattivamente il giorno della chiusura.
Ora, il Ministero sta rispondendo alla domanda:
dobbiamo comunicare la sospensione dell’attività per accedere ai benefici?
Dal tono della risposta se ne dedurrebbe che i benefici potrebbero essere revocati a chi non effettua questa fondamentale comunicazione (sanzioni a parte per l’omessa o la tardiva comunicazione).
Lascio ai commercialisti ogni valutazione sulla legittimità di una simile interpretazione, dal momento che il Decreto Legge non pone tale condizione, e non risulta ad oggi che la Costituzione consenta ad un Ministero di legiferare.
Torniamo ai miei tempi.
E’ un po’ come se, dopo aver donato al povero metà del mio mantello, con fare caritatevole gli avessi ingiunto di recarsi presso qualche ufficio della burocrazia imperiale romana a denunciare il suo pregresso stato di povertà.
Ma con calma, sono buono e comprendo la sua situazione, dopo il 16 maggio va bene lo stesso.
Ovviamente gli lascerei intendere che, in caso contrario, potrei ripensarci e riprendermi la metà del mantello che a suo tempo gli avevo donato.
Cordialmente
San Martino di Tours