EPIDEMIA, SANITA’, ECONOMIA… oggi come ieri? Suggeriamo una lettura di quanto accadde a Prato nel 1630

di Vincenzo Pollastrini

Siamo nel 1630, una epidemia di peste dilaga in tutta Italia.

Carlo M.Cipolla (1922 – 2000) in un pregevole e ben documentato trattato (“Cristofano e la peste”, Il Mulino, 1976) descrive in modo minuzioso gli avvenimenti (reali) nella comunità di Prato. 

Ne consigliamo vivamente la lettura integrale. Il testo è scorrevole, ma sempre rigoroso e ben documentato (particolarmente accurate e interessanti le statistiche). Il tono, ironico e leggero nel descrivere alcuni comportamenti umani, acquista tratti di intensa drammaticità nell’incalzare degli eventi, spesso descritti con le parole dei protagonisti dell’epoca. 

Diamo voce all’insigne autore (virgolettato), e a coloro che, citati dall’Autore, vissero in prima persona quei lontani avvenimenti (virgolettato corsivo).

PRATO, circa 6.000 anime entro le mura,  11.000 nei dintorni

AUTUNNO 1629 – I PRIMI SEGNALI

Dal nord (Lago di Como, poi Milano) la peste comincia a diffondersi. 

Giungono le prime notizie. 

Il 26 ottobre gli ufficiali della Sanità di Firenze ordinano alla comunità di Prato di piazzare le guardie per i controlli sanitari.

Il Consiglio di Prato, il 27 ottobre, nomina quattro “officiali di sanità”.

PRIMAVERA – ESTATE 1630 – GLI EVENTI PRECIPITANO, E’ EPIDEMIA!

Maggio 1630. La peste arriva a Bologna. La notizia si sparge. “Immediatamente il Magistrato della Sanità di Firenze impose l’obbligo delle “bollette” o passaporti sanitari per chiunque si muovesse dalla località di residenza”.

Giugno 1630. Giunge un ordine ai cittadini che abitano al confine: “che le si levi le grida di coro e si dia la campana in alarmi” alla vista di estranei.

6 luglio 1630. Anche i frati, di qualsiasi ordine, non potranno muoversi.

Le precauzioni non frenano il contagio, che dilaga in città.

“I medici cominciarono a discutere se si trattasse veramente di peste e gli ufficiali sanitari di Firenze, in attesa del verdetto, emanarono rassicuranti bollettini, ingannando sé e gli altri”.

Luglio – Agosto 1630. La mortalità in Prato aumenta. La diagnosi però è incerta e “nel dubbio l’amministrazione preferiva non pronunciarsi a causa delle conseguenze economiche che il riconoscimento ufficiale della peste avrebbe comportato”. 

Settembre 1630. Nicolò Bardazzi, infermiere dell’ospedale della Misericordia di Prato, “addetto ai pazienti di malattia sospetta”, si ammala e muore. I medici non hanno più dubbi: è peste.

AUTUNNO 1630 – IO STO A CASA?

2 ottobre 1630: gli ufficiali sanitari di Prato informano l’Ufficio di Firenze.

“La gente recalcitrava di fronte alle ordinanze e ai controlli”. 

“La gente voleva credere all’aiuto divino, e benché le autorità fossero consapevoli del pericolo … dovettero autorizzare processioni e cerimonie religiose”.

Il 1630 fu un’ottima annata per la produzione di vino, e molti pratesi non rinunciarono alla vendemmia.

8 ottobre 1630, lettera degli ufficiali sanitari di Prato alla Sanità di Firenze: “gli loro ordini sono poco obbediti da questi popoli et che per ciò la loro opera si rende poco meno che frustratoria”.

9 novembre 1630, editto del Gran Duca da Firenze: pena capitale ai trasgressori. Non cambia nulla, gli ufficiali non se la sentono di mandare a morte chi esce di casa.

Le strutture sanitarie vengono adeguate e riorganizzate.

Scoppia la peste nelle prigioni.

Novembre 1630. Le autorità chiudono tutte le porte della città, ma i viveri cominciano a scarseggiare.

DICEMBRE 1630 – NOMINATO IL COMMISSARIO STRAORDINARIO

Si è provato a costo di sangue quanto importa il provare e ricevere dalla suprema mano flagello di mal contagio … senza avere lume alcuno né sperienza con la quale altri si potesse governare e contenere in un tanto bisogno” (Libro della Sanità, Cristofano Ceffini, nota di altra mano – citato nel testo). 

Impressionante leggere questo passo, riportato a pag.23, tratto dagli archivi citati nel testo: “ben che la peste cominciassi sin dal mese di Agosto 1630, se bene lentamente, non si tenne cura del progresso che faceva pensandosi che di giorno in giorno dovessi terminare, vivendosi anco veramente con poco pensiero de quello che era per succedere, cagionato dalla inesperienza che si haveva in simile accidente”.

5 novembre 1630, Prato chiede aiuto a Firenze, servono medici. Firenze risponde: “Non possiamo compiacere questa terra in mandarvi un cerusico, perché nui haviamo molto scarsità”.

E’ complicato aumentare il numero degli “officiali di sanità”, la responsabilità è enorme, il Consiglio parla di “dificultà che si rappresenta di ritrovare chi accetti”.

11 dicembre 1630, arriva quello che oggi chiameremmo commissario straordinario: Cristofano di Giulio Ceffini, eletto all’unanimità provveditore alla Sanità dagli ufficiali sanitari.

Cristofano, di famiglia pratese illustre, anche se non nobile, ha già rivestito cariche importanti. Non è un sanitario, ma “scrivano e contabile”: occorre chi sappia gestire ed organizzare l’emergenza. Il suo compenso è poco più che simbolico, ma tenterà di rifarsi a fine emergenza.

LE REGOLE – QUANTO DIVERSE DA OGGI?

Ecco alcuni dei compiti cui deve attendere Cristofano.

Tener provvisto detto lazzaretto e luogo di convalescenti di tutte le cose necessarie et in vigilare le omissioni”.

Far serrare in casa tutte le persone sospette di contagio et a quelle far pagare la solita mercede”.

Passati li debiti tempi … aprire li detti serrati in casa con quei riguardi che si ricercano”.

Fare eseguire le deliberationi che alla giornata si faranno da deputati”.

Per limitare il contagio, è  lo stesso Cristofano a suggerire, dopo aver fatto ricorso “alla Maestà di Dio, alla intercessione della Beatissima Vergine e de’ Santi”, di:

separare subito scoperto il male gl’infermi da’ sani”;

serrar subito quelle case dove è stato infetti e tenerle almeno giorni 22, acciò chi vi è dentro nel praticare non infetti gli altri”;

proibire i comerzi”.

1630 – I FURBETTI DEL SUSSIDIO

Le persone chiuse in casa ricevono 1 giulio (poco più di 13 soldi) al giorno per persona

I fondi scarseggiano, Cristofano allora riduce il sussidio a 10 soldi a testa, con cui una persona a suo dire può “comodamente sostentarsi”. Non tanto, diremmo oggi. A quanto pare, con 8 soldi si poteva comprare un litro di vino e mezzo chilo di pane

Azzardiamo un’equivalenza

Più o meno 5 euro al giorno a testa. Fanno 150 euro al mese. Quindi, molto approssimativamente, 600 euro al mese per una famiglia di 4 persone … ricorda qualcosa? 

Non basta. Poiché i più poveri già ricevono una razione di pane gratuita, la loro quota viene ridotta a 5 soldi, “per sollevare in parte da tanta spesa la comunità”.

Non basta ancora, non è possibile che anche i benestanti ricevano il sussidio. Allora “quelli che havevano il modo di sostentarsinon avrebbero più ricevuto aiuti.

Per continuare ad intascare il sussidio alcune famiglie non denunciano i decessi, o prolungano la quarantena.

A volte si crea complicità tra famiglie e addetti al pagamento del sussidio (che si spartiscono il sussidio).

Cristofano si accorge “de’ gl’errori” e, per scovare gli evasori, ordina di “cassare” (aprire) le case che “havevan fatto 22 giorni o più di quarantena”.

1630 – 1631 – IL CONTAGIO AVANZA E I FONDI SCARSEGGIANO

Dicembre 1630, i fondi sono sempre più scarsi. Cristofano organizza una “cerca di robbe e denari” (questua). Diremmo oggi, con espressione forse abusata, ci mette la faccia, bussando di casa in casa con due aiutanti. Presterà anche denaro personale alla comunità.

Persino le multe sono utili per fare cassa. 

Tali Sabatino da Colonica e Simone da Fossi, sorpresi ad entrare in Prato senza passaporto sanitario, vengono condannati alla tortura, prontamente convertita in pena pecuniaria (70 lire).

31 dicembre 1630. Vengono ridotti i salari di alcuni addetti al servizio di sanità.

31 dicembre 1630. Il Podestà chiede a Firenze di consentire almeno le comunicazioni e i commerci tra Prato e Firenze.

9 Gennaio 1631. L’ordinanza della Sanità di Firenze, che stabilisce la “quarantena generale” (tutti a casa e niente assembramenti per 40 giorni) viene pubblicata a Prato “ne’ luoghi soliti a suon di tromba”.

Scrive l’Autore: “le denunce di malattia non erano sempre immediate e spesso si tardava a spedire il paziente al lazzaretto. Molti finivano quindi col morire a casa mentre molti di quelli che arrivavano al lazzaretto costituivano per così dire un gruppo selezionato, che aveva già superato la fase più critica del male”.

ESTATE 1631 – LA FINE DELL’EPIDEMIA

11 luglio 1631. Dichiara il Consiglio cittadino: “per la Dio Gratia, da ventidue giorni in qua non si sono scoperti malati né veduti morti in questa terra”.

Riaprono le scuole.

17 luglio 1631. La Sanità di Firenze toglie il bando: persone e merci possono transitare da Prato a Firenze con passaporto sanitario.

I dati di Cristofano però riportano ancora decessi tra la fine di giugno e l’inizio di luglio 1631. Scrive l’Autore: “Cristofano registrò solo le morti di contagio, ma contò come morti di contagio anche quei casi che, in quanto dubbi non erano riferiti ufficialmente a Firenze, benché localmente provocassero l’adozione di misure preventive”.

I MEDICI IN PRIMA LINEA

Metà agosto 1631. Cristofano, terminata l’emergenza, rassegna le dimissioni. Viene remunerato in modo simbolico.

3 settembre 1631. Due medici condotti, Lattanzio Magiotti e Giobatta Serrati, “instavano per qualche recognitione per le molte fatiche portate nel tempo del contagio in havere indifferentemente curato tutti gli infermi con tanto loro incomodo et evidente pericolo della vita”. Il Consiglio delibera 30 scudi per ciascuno.

6 maggio 1632. Diacinto Gramigna, otto mesi come chirurgo presso il lazzaretto, sempre con lo stesso vestito, viene remunerato con 15 scudi, “per farsi un vestito ed abbruciarsi quello che portava mentre serviva per cerusico della Sanità”.

Cristofano protesta a più riprese per non essere stato remunerato. Riceve 24 scudi. Insiste. Arrivano non senza difficoltà 6 cucchiai e 6 forchette d’argento (12 scudi). Viene di nuovo nominato ufficiale di sanità nel 1632 e nel 1633 (ritorno della peste), ottenendo  24 scudi e poi un cavallo. Muore nel 1642.

L’ECONOMIA IN CRISI 

Le entrate del comune (gabelle e decime) si contraggono del 10 per cento.

Le spese straordinarie, per fronteggiare l’emergenza, sono particolarmente pesanti. Il tesoriere Andrea Migliorati arriva ad anticipare soldi di tasca propria.

Neanche gli addetti alla sanità vengono pagati regolarmente

Concludiamo con questa frase dell’illustre Autore: 

“Una epidemia di peste non costituiva soltanto una tragedia umana; era anche un disastro economico. Mercanti ed artigiani erano i più colpiti non solo per la contrazione del mercato locale ma anche e soprattutto perché i blocchi sanitari paralizzavano comunicazioni e commerci con i mercati esterni”.

28 marzo 2020

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